Travis Barker ha detto di non avere contatti personali con Tom DeLonge

Travis Barker è stato intervistato da PopBuzz per promuovere la sua biografia Can I Say: Living Large, Cheating Death, And Drums, Drums, Drums e, tra le tante cose, ha parlato anche del suo rapporto con Tom DeLonge.

Ehi, Travis, come va oggi?
Molto bene, amico. E tu?
Non male, grazie. Mi è piaciuto molto il tuo libro, è veramente selvaggio. Perché hai deciso di scrivere il libro ora?
Quando mi è stato chiesto di scriverne uno o semplicemente di raccontare la mia storia in generale, non ero pronto. Volevo aspettare di essere sobrio, in un buon stato mentale, e me la spassavo al 100%, amico. E volevo aspettare il momento in cui avrei potuto raccontare certe cose di cui ero ancora addolorato.
Alla fine è stata un’esperienza positiva?
Sì. Non so te ma non mi ero mai seduto a parlare della mia vita. Avevo parlato degli album, del processo di registrazione, ma sedersi effettivamente con qualcuno e ripensare alla propria vita è... terapeutico. È così, oh amico; Ho tirato fuori moltissimo di me da quando ero giovane, la morte di mia mamma e non ne avevo mai parlato con nessuno. Mi ero sempre chiuso e cercavo di essere forte ma non ne avevo mai parlato veramente.

Anche dell’incidente aereo non ne avevo mai parlato veramente. Lo evitato come la peste. Ci sono momenti nel libro in cui piangevo sonoramente e non riuscivo a parlare per 20 minuti e Gavin (Edwards, il co-autore) mi diceva: “OK, mi dispiace Trav”. [Rimanevo] Completamente in silenzio finchè non tornavo a posto oppure c’erano dei momenti in cui ridevamo a crepapelle perché leggevamo le interviste. Andava a contattare i miei amici e faceva delle domande. Erano sia i punti più bassi che i più alti.
Penso che sia interessante che nel libro ci sia molto coinvolgimento di altre persone, in particolare Mark Hoppus, Tom DeLonge, (l’ex-moglie) Shanna Moakler, perché hanno spesso opinioni diverse sulle cose. Qual era il tuo pensiero dietro a questo?
Volevo che fosse vero. Ho letto molte biografie e le ho lasciate a metà perché non credevo a quello che raccontavano. Volevo che tutte le stronzate (ride) fossero più vere possibile e ho pensato che il metodo dell’intervista fosse molto cool e onesto. Può essere stato umiliante a volte ma almeno è la verità. Per me è stato così, perché scrivere un libro se non sei brutalmente onesto?
Qual è stata la cosa più difficile e la cosa più imbarazzante che hai raccontato nel tuo libro?
Penso che ci siano delle cose divertenti e cose più profonde. Il mio amico Brett è stato il mio compare da quando eravamo ragazzini e siamo cresciuti andando in skateboard e suonando in band punk, ma quando ha raccontato del mio primo addio al celibato [NdR.: nel libro Brett descrive con una certa quantità di dettagli l’orgia che ha avuto luogo al primo addio al celibato di Travis] mi ha fatto arrossire quando l’ho letto.
È stato selvaggio.
(Ride) Del tipo, che cazzo? Ma nulla è cambiato. Nessuna parola dalle interviste degli altri. Non ne ricordo neanche alcune parti, quindi è stato duro. Quando le ho lette ho pensato “cacchio, ero un fottuto cassonetto” quando mi drogavo. La maggior parte le usavo per salire su un aereo, per stare su un aereo, per stare in una nazione in cui ero in tour per due o tre mesi alla volta. Ma per me, le scuse non lo rendono migliore; ripensandoci dico: “cosa cazzo stavo facendo?”. Sono lucido ora. Sono sobrio ora, non sono un donnaiolo e non sono in tour con una nuova ragazza ogni sera. Ho imparato. Nessun rimpianto, nessun errore, solo lezioni imparate.
Ci sono moltissime storie pazzesche nel libro. Quella che spicca per me è quella del tizio che ti tiene sotto tiro quando stavi guidando la macchina di tuo papà. Me la potresti raccontare?
Beh, sto guidando il pickup di mio papà da Fontana a San Bernardino, che è circa a 30 minuti di distanza, ma quell’area non è il migliore dei quartieri. Sto andando, apro la portiera e salgo e lui si infila dal lato del passeggero e mi punta una pistola alla testa. Ho pensato: “che cazzo!”. Mi ha colpito un paio di volte con il calcio della pistola e mi ha fatto guidare. Onestamente ho pensato — ero molto spaventato al momento — ho seriamente pensato che quel tizio stesse per farmi saltare il cervello e rubarmi il pickup.

Ma non era per il pickup. Ripensandoci era un invasato di droga e lo stavo portando a prendere altra droga. Ha detto: “Se te ne vai quando scendo dalla macchina, ti sparerò”. Ovviamente l’istinto di sopravvivenza ti dice di andartene dai coglioni! Onestamente non ci credevo che stesse lasciando la macchina! Pensavo che mi avrebbe portato in qualsiasi posto. Nel momento che quel bastardo è sceso dalla macchina ho iniziato a guidare come se l’avessi rubata. Il viaggio verso casa è stato come un risveglio. Lo stesso risveglio che ho avuto in una maniera completamente diversa dopo il mio incidente aereo. Non ho più dato nulla per scontato.
C’è una foto abbastanza raccapricciante del tuo corpo sanguinante dopo l’incidente. Hai menzionato nel libro che era per dimostrare alle persone intorno a te cosa era successo. Credi che le persone non abbiano capito quanto fosse serio quell’incidente per te e perché hai tutta questa paura di volare?
Non “persone” perché non ho mai parlato dell’incidente. Raramento dò interviste. Non è che non mi piaccia parlare, ma, se sto facendo uscire un album, preferisco che sia l’album a parlare.

Dopo l’incidente, numero uno, non ne potevo parlare. Non ero in forma per parlarne. Numero due, andavo a ogni intervista e chiedevo al mio addetto stampa di dire alle persone di non farmi domande a riguardo. Così ho quelle foto perché Tom (DeLonge), specialmente, mi pressava per volare di nuovo. Ho provato a spiegarglielo dicendo: “Non posso ancora farlo, non sono pronto”. Intorno a quel periodo ho spedito una mia foto dopo l’incidente e ho chiesto a tutti loro perché vedendole avrebbero riportato alla memoria i ricordi. Ho finito a mostrarle a Tom e a Mark, sebbene Mark fosse sempre molto di supporto dal primo giorno. Mi ha anche visitato in ospedale. Ha detto: “Se non vuoi più volare, se non vuoi più suonare la batteria, se non vuoi più fare nulla, Travis, allora ti capisco”. Invece, con Tom, c’era una pressione costante.

Ce ne sono altre 200 circa e altre sono ancora più esplicite. Questa è stata quella che ha scelto l’editore e pensava che fosse esplicita, ma non così esplicita da disgustare le persone, quindi questa è la foto che abbiamo scelto. Ma ce ne sono altre centinaia che fanno accapponare la pelle.
Quindi qual è la situazione tra te e Tom personalmente, hai qualche contatto?
No. L’ultima volta che ho visto Tom siamo usciti a cena. Mi ricordo che sono andato a cena con lui e ha detto: “Trav, non sono mai uscito a cena con te. Questo è molto cool. Quando non siamo in tour, dovremmo farlo più spesso”. Ho risposto di sì. Era come se fossimo i migliori amici. Siamo usciti e ci siamo divertiti in una maniera che non avevamo mai fatto prima. Non era perché dovevamo andare assieme in studio o a un servizio fotografico. Mi ha dato più speranze per il futuro di tutto — la nostra amicizia, la band. Poi non ha più avuto intenzione di fare qualcosa a riguardo e ha lasciato la band. Pazienza. È strano, io sono strano, le persone sono strane e le persone prendono le proprie decisioni. Ma non ho più parlato con lui da allora. Gli auguro il meglio. È andata così.
Hai lavorato con moltissimi artisti nella tua carriera — da Lil Wayne a Britney Spears — ne manca qualcuno con cui vorresti lavorare?
Sono stato così fortunato a lavorare con tantissimi dei miei artisti preferiti e persone che ho ammirato. Ho praticamente fatto tutto! Ho alcune collaborazioni fantastiche per il prossimo progetto solista, da Run The Jewels a Wiz Khalifa a Yelawolf e The Game. Ho appena avuto l’opportunità di lavorare con Cedric e Omar dei Mars Volta per un nuovo progetto, Anti-Mass. Mi sono divertito e spero di continuare a collaborare con gli artisti con cui amo fare musica.
Quali sarebbero i tuoi consigli se i tuoi figli ti dicessero di voler diventare dei musicisti come te?
Lo hanno fatto! Vogliono assolutamente diventare dei musicisti! L’ho reso molto, molto chiaro a loro. Sono stati dai tour hip-hop con me, Lil Wayne e Nicki Minaj ai tour punk rock con i Rancid, quindi hanno visto gli alti e i bassi. Hanno visto in anticipo il lavoro che ci vuole, l’allenamento, le prove e tutto il resto. Hanno visto entrambe le facciate. Sanno cosa accade e mi sono assicurato di farlo con loro da giovanissimi, da quando avevano due anni. Qualsiasi cosa faranno, mi andrà bene, ma per ora mia figlia Alabama suona il piano e canta e mio figlio Landon suona la batteria, canta e fa rap, è pazzesco! Li sostengo molto e amo che siano coinvolti dalla musica.
Poi dovresti fare una band di famiglia!
(Ride) Sarebbe fantastico! Effettivamente in estate abbiamo suonato canzoni dei Ramones, è stato molto cool. Landon suonava la batteria e Alabama suonava il pianoforte, è stato cool.
Hai scritto questo libro e hai passato tutte queste esperienze, qual è la saggezza che vorresti trasmettere agli altri?
Penso che sia uno dei temi ricorrenti del libro; trovare qualcosa che ami, che faresti gratuitamente e poi trova un modo per essere pagato per farlo. Così è andata con la batteria. Il mio unico obiettivo era di fare qualcosa che amo e essere pagato per farlo. Il mio obiettivo non è mai stato di diventare un milionario, essere famoso, era di essere pagato in qualche modo per suonare la batteria, avere un posto dove dormire e avere da mangiare. Penso che dovrebbe essere un tema ricorrente e essere appassionati con tutto il proprio cuore. Credo che sia ciò che si raccoglie, amare la propria famiglia e amare la vita. Sono molto fortunato, mi sento come se avessi avuto una seconda possibilità un paio di volte, sono molto fortunato e vivo ogni giorno al massimo.

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